BENVENUTI

Benvenute e bevenuti su questa piccola isola, dove sono disseminati indizi e tracce.
A ognuno di noi, la scelta e l'impegno della scoperta che porta a un progetto, a una storia, a un evento, comune e allo stesso tempo personale.

Buon viaggio ai viaggiatori e ai curiosi della vita


STORIE DI LOG OUT

...O per meglio dire "siccome può accadere talvolta, che ciò che ci accade non accade solo a noi, forse vale la pena di scriverlo e farlo diventare patrimonio di tutti ."
Questo è un luogo per raccogliere le esperienze di quanti, forse,
si sono sentiti diversi in un mondo virtuale di omologati, decidendo di non poter pagare il dazio nè di voler cambiar nulla di ciò che per altri funziona bene così... ma semplicemente sentono possibile parlarne ... Speriamo di avere tra gli ospiti molti di voi abitanti ed ex abitanti del mondo virtuale che ci ha visti viaggiatori ignari e speranzosi di trovare la realizzazione di un sogno. Ci piacerebbe avere ospiti anche avatar di ''fama'' i quali sapranno parlarci della loro esperienza di immersione cosi totale. Vivere una vita virtuale costa tempo.

QUESTO BLOG E' STATO CREATO IL 1 MAGGIO 2010

Per pubblicare la storia, anche anonima, del vostro log out o del vostro stay-in o in-and-out scriveteci qui:

secondlifevsreallife@gmail.com




sabato 5 giugno 2010

LE DIPENDENZE TECNOLOGICHE - Daniele La Barbera Società Italiana di Psicotecnologie e Clinica dei Nuovi Media

All’interno di un “ambiente virtuale” il rapporto è immediato e diretto, centrato soprattutto su quello che si scrive,
In  Internet la mia identità coincide con le mie affermazioni.
Internet e la Chat, diventano un palcoscenico infinito, anonimo ma ricco di significati, in cui si modifica il modo in cui si percepisce se stessi e gli altri.
Nella fase successiva, la Sostituzione, si ha un’immersione profonda nelle esperienze, nelle attività e nelle relazioni offerte dalla Rete
La rete sostituisce ciò che sembra mancante o inaccessibile nella vita reale: «nel giro di qualche mese o di qualche settimana, ecco che hai un amico o forse molti. Hai trovato nuovi stimoli, fiducia, interesse, sostegno (…) le persone o le attività che prima ti facevano andare avanti nella vita ora non contano più niente»
Persistente e ricorrente utilizzo di Internet maladattivo che conduce a menomazione o disagio clinicamente significativi come indicato da un totale di quattro (o più) dei seguenti criteri per un periodo di tempo non inferiore ai 6 mesi.
1. Internet diviene un mezzo per gestire i propri stati emotivi negativi ed i propri pensieri spiacevoli
    2. Il pensiero è spesso rivolto alla prossima possibilità di connessione ad Internet
    3. Svalutazione della propria vita reale rispetto a quella virtuale
    4. Inadeguata percezione del tempo quando si è connessi a Internet
    5. Tentativo di nascondere agli altri la quantità di tempo trascorsa in Rete
    6. L’uso di Internet interferisce negativamente con il lavoro, lo studio o i rapporti sociali
Da un certo punto di vista possiamo considerare la Rete come un grande laboratorio di sperimentazione dell’identità nel quale mettere in gioco, in un contesto relativamente “sicuro” quegli aspetti del Sé che la persona non riesce normalmente a vivere ed elaborare nella vita reale.
Le realtà virtuali possono diventare, allora dei veri e propri rifugi, delle fortezze in cui potersi rifugiare quando ci si sente annoiati, soli, depressi.
Costantemente disponibili (basta collegarsi), la Rete offre un tipo di relazione perfetta,  quella che nessun essere umano e nessun altro tipo di rapporto saprebbe garantire … ma il rischio di perdere il contatto con la realtà è alto
Se è vero che il successo dei giochi tecnologici e dei network ci conferma di quanti sogni la nostra anima è ancora capace, allora approfittiamone non per crearci una seconda vita in modo virtuale, ma per realizzare, nell’unica vita reale ch
e ci è data, tutto quel possibile che rimane inespresso, spento a volte, ancora prima di nascere...
Dunque........... rimanere connessi ma nella realtà...........

mercoledì 2 giugno 2010

Comunicare con amici reali e virtuali - dal sito OPSONLINE forum

Rifugiarsi nel mondo virtuale aiuta sicuramente ad aprirsi, confrontarsi, condividere ed io lo trovo un espediente utile, che arricchisce, aiuta, fa sentire meno soli.
Io ho imparato una cosa, con il tempo. Non è che non si possa essere sinceri, è che non sempre si trovano persone disponibili a quel tipo di apertura; e questo ci fa tentennare. Non a caso, sostenevi di aver subito delle delusioni, ma forse, se ci fosse stato qualcuno disposto a ricambiare l'apertura cui sei naturalmente predisposta: ti saresti aperta. E certamente ci sono delle motivazioni a tutto questo (come al solito, con eccezioni al seguito). Io credo - al di là del fatto che si può anche essere riservati - che buona parte delle persone non lo facciano per riservatezza, ma perché hanno qualcosa da nascondere. Prima a se stessi e poi anche agli altri; molto spesso queste persone si pongono dei limiti, delle barriere, delle costrizioni enormi: per difendersi. Le motivazioni della difesa poi, possono variare di caso in caso. Ma credo che alla base vi sia un singolarissimo bisogno di protezione; ma attenzione, non soltanto di protezione materiale, ma soprattutto di "protezione della propria immagine". Proprio perché, come dicevi, si cerca di fare bella figura a costo di non essere se stessi. Dunque bisogna proteggere l'immagine che nella realtà portiamo avanti, che non corrisponde - come nel caso che riportavi - all'immagine che Liberiamo online. Quasi come se la bontà di ognuno fosse direttamente proporzionale all'allontanamento dalla propria immagine.

Come se essere diversi da quello che siamo realmente, ci desse garanzia di essere migliori; e quale sarebbe il metro?
In base a quale criterio possiamo stabilire, dal nostro angolo cieco, di essere migliori in un modo differente da quel che siamo?

Io credo che non esista questo metro ma che sia illusorio; e cioè, le persone continueranno ad essere imperfette, che siano se stesse o che fingano d'essere qualcuno di diverso; dunque, tantovale essere se stessi. Almeno si è liberi di respirare e muoversi con disinvoltura. E di sorride, senza temere che qualcuno possa vederci e mettere in discussione la nostra serietà: per un sorriso. Probabilmente tu riesci a farlo, probabilmente ci riesco anche io. Ma quanti, di quelli che conducono un'esistenza doppia, possono farlo veramente? Io mi domando se, addirittura, l'abbiano provato mai (ma chiaramente sto esagerando).

E poi metti la soddisfazione che può derivare dall'autenticità di una cosa fatta bene, e che ti appartiene fino in fondo: non ha prezzo. Ci aiuta a capire come siamo fatti, ad osservare i nostri difetti, i nostri pregi, a migliorare e a lavorare sulle nostre debolezze; a smussare gli angoli aguzzi della nostra personalità [ma questi angoli aguzzi devono essere tirati fuori per essere smussati, perché finché li nascondiamo, nessuno verrà a dirci che quell'angolo è ingombrante, e tantomeno lo vedremo noi]. Ora, non vorrei tirare in ballo discorsi triti e ritriti, ma che i tempi sono cambiati lo vediamo tutti. Persino guardarsi negli occhi è diventato faticoso; però una cosa bella c'è. Quando incontro qualcuno in grado di sostenere uno sguardo lo noto subito: e questo è molto bello. In ultimo, oserei un'ipotesi: credo che tutto questo disagio e questa angoscia di scappare e di nascondersi abbiano una matrice unica: la paura.

"Credevamo che nella modernità saremmo riusciti a lasciarci alle spalle le paure che avevano pervaso la vita in passato; credevamo che saremmo stati in grado di prendere il controllo della nostra esistenza. Noi, uomini e donne che abitiamo la parte sviluppata del mondo (la più ricca, la più modernizzata), siamo oggettivamente le persone più al sicuro nella storia dell'umanità. Lo siamo contro le forze della natura, contro la debolezza congenita del nostro corpo, contro le aggressioni esterne. Eppure proprio noi che godiamo si sicurezza e comfort senza precedenti, viviamo in uno stato di costante allarme. [...] Quella più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c'è da fare." [Paura Liquida, Bauman]


La morale è che dovremmo combattere contro noi stessi, e a quel punto, forse, la smetteremmo di difenderci dagli altri.

martedì 1 giugno 2010

Impiantare falsi ricordi, portare via quelli veri - DI DOUGLAS RUSHKOFF



Al laboratorio sull’interazione fra umano e virtuale della Stanford sono andato a trovare uno psichiatra che si chiama Jeremy Bailenson, che ha studiato il modo in cui le esperienze virtuali vengono immagazzinate nel cervello. Lavora con persone coinvolte in simulazioni virtuali come Second Life, e osserva come queste si riflettono poi nella vita reale. Ha scoperto che le aree del cervello responsabili della memoria non riescono bene a distinguere se un particolare avvenimento è accaduto nel mondo reale o in uno virtuale. In altre parole, proprio come può capitarci di svegliarci da un incubo restando arrabbiati tutto il giorno con la persona che ci ha fatto torto in sogno, tendiamo a ricordare e ad agire sulla base delle nostre sperienze virtuali come se queste fossero realmente accadute. Da un lato, questo costituisce una straordinaria modificazione del comportamento. Ho assistito mentre Bailenson faceva sedere una donna su una sedia facendole simulare un pasto nella realtà virtuale. Mentre lei mangiava, il suo avatar lentamente ingrassava, riprogrammando la comprensione che il suo cervello aveva dell’effetto delle sue abitudini. Naturalmente, in teoria qualunque di queste tecniche potrebbero essere usata a favore o contro i nostri migliori interessi. In un altro studio, Bailenson ha scoperto che “avere dieci centimetri in più di altezza triplica le probabilità di picchiare qualcuno in un confronto nella realtà virtuale”. Ma non è questa la parte più strana. Tornando al mondo reale, “a prescindere dall’altezza vera, mi picchierai lo stesso se dovessimo avere un confronto. Questo ci ha lasciato di stucco. Una piccola esposizione nella vita reale si trasporta anche nel nostro comportamento faccia a faccia”. La cosa più strana di tutte è che Bailenson ha fornito ad alcuni bambini un’esperienza di realtà virtuale come se avessero nuotato con delle balene, e due settimane dopo ha fatto loro delle domande in proposito. Metà di loro era convinta di essere veramente stata a Sea World a nuotare con le balene. Qua si sta parlando di ricordi impiantati nella memoria. Bailenson ha scoperto il Sacro Graal per coloro che cercano una tecnologia affidabile per controllare la mente. Gli ho chiesto se la cosa lo spaventi. Lui ha detto, "la vedo solo come la direzione in cui stiamo andando”. Non sorprende che l’esercito americano sia in prima linea in queste scoperte e abbia propri laboratori in cui studia come applicare queste tecniche sia sul campo di battaglia che sui reduci traumatizzati. Le simulazioni virtuali permettono a chi soffre di stress post-traumatico di ri-sperimentare gli eventi che li hanno sconvolti per poi lentamente desensibilizzarsi al loro impatto atrarverso ripetute reinvenzioni che coinvolgono non soltanto la vista e l’udito, ma anche l’odorato. Ho provato io stesso una di queste sessioni in un laboratorio finanziato dall’esercito a Marina Del Rey, in California, sostituendo il ricordo di un incidente letale di quando avevo 20 anni e combattevo in Iraq, e la vividezza di quelle emozioni mi ha raggelato. L’esercito sta anche cercando un modo per applicare questa tecnologia prima che avvengano i fatti, essenzialmente inoculando nel cervello dei soldati il trauma della guerra in anticipo.
Douglas Rushkoff
Fonte: www.thedailybeast.com
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